TECNOLOGIA E FUNZIONAMENTO DEI MULINI A PALA

I mulini a pala si presentano con due modalità costruttive caratteristiche:

 la prima costituita dai mulini posti direttamente nel fiume su piccole isole o a cavallo dello stesso, con ruote su entrami i lati e che non avevano bisogno di grandi opere di canalizzazione dato che riuscivano a sfruttare la naturale corrente del fiume;

 le seconde invece piazzate sulla riva del fiume, con una o più ruote su un solo lato e che abbisognavano di opere particolari come le arginature, dette roste, atte a convogliare l’acqua verso le ruote.

 Le roste sono dei terrapieni più o meno larghi piantumati con salici o ontani che contribuivano con l’apparato radicale a conservarne la solidità.

Per intensificare la velocità di scorrimento delle acque sotto le pale, si costruivano le gore, piani inclinati con fondo in legno e ghiaia e tavole di rovere ai lati destinate nel tempo ad essere sostituite con pareti di cemento. A seguire la gora, era la parte chiamata chuna, sempre in legno, sopra la quale girava la ruota.

La gestione dei flussi d’acqua verso le gore era realizzata  con delle paratoie, sempre in legno, dette bove, azionate grazie a degli arganelli, anche questi in legno, chiamati molinelli.

Le bove e i relativi molinelli erano due per ogni ruota. Una serviva la gora maestra e si teneva alzata quando si intendeva far girare la ruota, l’altra, era posizionata sulla gora detta gora sboradora e veniva tenuta aperta nei momenti di inattività o in caso di pericolo di piene lasciando libero corso alle acque..

Altre bove, chiamate anche bovoni, erano posizionate lungo le roste e venivano impiegate  per gestire i momenti di piena del fiume.

Nel ‘600 sui mulini messi a cavallo del fiume comincia a comparite il pizon, un triangolo la cui base poggia sull’edificio e il vertice punta la corrente così da deviare al meglio il flusso verso le due ruote.

A trasformare in energia motoria la forza dell’acqua è deputata la ruota, l’elemento più iconico del mulino con un diametro che varia tra i tre e i sei metri e che gira su di un asse orizzontale, il fuso, fatto con un lungo palo di rovere mentre le pale sulle quali va a sbattere l’acqua mettendo in moto la ruota, erano di legno di larice. Attraverso un foro abbastanza ampio per evitare possibili attriti, il  fuso entra nel mulino e qui viene in contatto con gli ingranaggi che trasformano il moto verticale della ruota, nel moto orizzontale delle macine.

Quando si deve avviare la macinazione, il mugnaio apre la bova principale, l’acqua scende incanalata nella gora e va a sbattere contro le pale e così inizia a girare il fuso. Il fuso aziona il lubecchio all’interno del mulino che a sua volta imprime il moto all’albero attraverso la lanterna cambiando il moto da verticale in orizzontale. L’albero del mulino, attraversa il pedale e grazie alla nottola fa girare il corrente. L’estremità dell’asse sbatte sulla cazziola della tramoggia   e regola la caduta del cereale nel foro della macina. All’interno della tramoggia era presente un filo con all’estremità inferiore una campanella che si metteva  a suonare, scossa dalla vibrazione, quando la tramoggia si era svuotata avvisando così il mugnaio. Parte integrante del mulino erano anche lo sfioratore, un canale che partiva sul fiume a monte del mulino e vi si riconnetteva poco a valle  dando la possibilità di far defluire le acque in caso di piene e, infine, il gorgo, uno slargo artificiale del fiume realizzato subito a valle del mulino che aveva il compito di raccogliere e rallentare l’acqua che usciva accelerata dal moto delle ruote.

Per i mulini a cassetta il funzionamento è di fatto lo stesso con la differenza che l’acqua veniva portata verso la ruota con canali artificiali di adduzione da vicini corsi d’acqua.

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