I cereali sono fin dai tempi antichi uno degli alimenti che più di altri hanno contribuito a sfamare il genere umano, grazie in particolare alle loro caratteristiche in quanto ad essere nutrienti, adattabili ad ogni clima e terreno, facili da coltivare, conservabili a lungo e comodi da trasportare. Ciò ha fatto si che intere civiltà si siano organizzate attorno a queste piante divenute simbolo di abbondanza e di ricchezza ed ecco perché, la coltivazione dei cereali ha spesso contribuito alla drastica trasformazione dell’aspetto di molte regioni, a volte sacrificando irreversibilmente la vegetazione spontanea e creando nuovi paesaggi.
Il mais, il riso e il grano duro sono adatti a climi temperati e caldi, mentre il grano tenero cresce meglio a quote più elevate. Man mano che si sale al nord, sia come latitudine che come altitudine, prevalgono l’orzo e la segale.
Rispetto al progenitori del passato, i cereali odierni si presentano diversi perché le tecniche di ibridazione e di selezione hanno puntato a formare piante più produttive, adattabili e resistenti alle più svariate condizioni ambientali.
Quasi tutti i cerali appartengono alla famiglia botanica delle graminacee e sono tipicamente piante erbacee a ciclo annuale dalle foglie strette ed allungate. La caratteristica che meglio le identifica è la formazione della cosiddetta spiga che altro non è che un insieme di piccoli fiori raccolti a creare un ciuffetto. Dopo la fecondazione lì si troveranno i preziosi chicchi che si possono consumare interi o lavorati.
Il prodotto più conosciuto che deriva dai cerali è la farina, ma i chicchi si impiegano anche per produrre oli, bevande alcoliche, amido e altri additivi alimentari.
La farina è il prodotto della macinazione dei chicchi, ma prima di avere l’aspetto che tutti conosciamo arriva a subire numerose trasformazioni che la rendono più o meno raffinata.
Macinando il grano tenero si ricava la farina bianca usata per fare il pane.
Con il grano duro si ricava una farina più o meno gialla per la produzione della pasta.
Dalla macinazione del mais, o grano turco, si ricava una farina gialla per fare la polenta che nel Veneto, a partire dal 1615, è arrivata ad essere uno dei cibi più ampiamente diffusi al punto da diventare uno dei simboli di questa regione.
In origine la macinazione dei cerali avveniva attraverso la compressione dei chicchi tra due pietre dove venivano frantumati. Un’operazione molto semplice dovuta alla sola energia muscolare i cui risultati erano però appena sufficienti alle necessità familiari e che richiedeva un lavoro di due o tre ore per ottenere un chilogrammo di farina molto grossolana.
Con il progressivo diffondersi della vita nelle città aumentò anche il consumo e la richiesta di farine non più soddisfacibile con l’autoproduzione. L’arte della macinazione si perfeziona e compaiono i primi mulini mossi ancora rigorosamente da forza animale o umana dove, su una parte inferiore fissa veniva fatto girare un rotore, con la possibilità di ottenere fino a 7 chilogrammi per ogni ora di lavoro.
I romani, è certo, conoscono anche lo sfruttamento della forza idraulica per poter muovere le macine. Ne da una descrizione Vitruvio tra il 50 e il 51 avanti Cristo; ma il metodo non è ancora concorrenziale visto il bassissimo costo della manodopera data dalla disponibilità di un altissimo numero di schiavi. Bisognerà perciò attendere il medioevo con la crisi dell’organizzazione schiavistica perché tra il IX e l’XI secolo il mulino ad acqua si affermi definitivamente con la sua capacità di produrre tra i 15 e i 20 chilogrammi di farina in un’ora di lavoro, a seconda che la ruota che sfrutta l’energia idraulica sia in posizione orizzontale piuttosto che verticale, e dunque con la sua capacità di rispondere sia all’aumento della produzione dei cereali derivato dai miglioramenti delle rese agricole, sia alla ripresa demografica cui seguiva un naturale aumento di domanda di farine.
Fino all’avvento delle più moderne macine a cilindri in metallo, quelle realizzate in pietra, nelle loro diverse forme, hanno lavorato al servizio dell’uomo per secoli.
Le macine in pietra nei mulini sono composte da due elementi a forma di disco: uno è fermo, detto “giacente”, appoggiato al “soler” e con un foro al centro che permette il passaggio all’albero del mulino. L’altro disco invece gira sempre sul suo asse, chiamato perciò “corrente”, e anch’esso dotato di un foro per permettere il passaggio dei cereali.
Le due macine, proprio in base alle due diverse funzioni, dovevano avere caratteristiche di composizione rocciosa diverse e per questo, avevano provenienze diverse.
Le macine erano l’elemento più costoso del mulino arrivando a costituirne quasi il 46% del valore complessivo e raggiungevano un diametro di 1,20m per un peso che andava dai 10 agli 11 quintali.
Esistevano macine diverse per il diverso tipo di cereale da macinare: “de bianco” o “de zalo” a seconda macinassero chicchi di grano o di mais.
Le due facce interne delle mole non erano perfettamente piane e combacianti ma piuttosto convessa quella giacente e concava quella corrente così che durante la macinazione la farina potesse meglio scivolare all’esterno attraverso le apposite scannellature incise.
Le due mole non dovevano mai venire a contatto e la ricerca della distanza minima senza contatto era quella che garantiva la migliore qualità del prodotto lavorato.
A intervalli regolari, anche ogni tre o quattro giorni se si lavorava anche di notte, altrimenti una volta la settimana, la faccia macinante della mola che tendeva a levigarsi doveva essere riportata alla primitiva porosità dal mugnaio che con una leva metallica sollevava, con grandi sforzi, la mola superiore poggiandola su un apposito sostegno e poi con apposite “martelle” provvedeva a ricostruirvi un manto a piccole scaglie aguzze. Tale operazione comportava almeno una giornata di lavoro e rappresentava una delle capacità professionali più spinte nella figura del mugnaio.A partire dal XII secolo, lo sfruttamento della forza idraulica dei mulini comincerà a non essere più limitato alla sola produzione di farine e si allargherà anche ad altri tipi di lavorazione artigianale. Le ruote, mosse dall’acqua, permetteranno nuove e più efficaci lavorazioni anche per frantoi, segherie, folli per panni, cartiere, magli .